Se esiste Dio perché esiste anche il male?

Probabilmente questa domanda è una di quelle più potenti – spiritualmente parlando –, nel senso che è capace di mettere in crisi chiunque è all’inizio del proprio cammino di fede.

Spesso questa domanda sorge quando siamo colpiti oppure veniamo a conoscenza di situazioni negative che potevano essere evitate dall’intervento straordinario di Dio. Per esempio: durante una rapina in banca, il ladro spara, uccide un bambino innocente, e poi riesce anche a fuggire con il bottino. Di fronte a questa tragedia è facile domandarsi: dov’era Dio in quel momento? Perché non ha deviato la pallottola oppure fatto inceppare l’arma del rapinatore? Perché gli ha pure permesso di fuggire con il bottino?

Tutte queste domande presuppongono l’idea di un Dio “regista”, che dirige l’universo a suo piacere, oppure quella di un “padre apprensivo”, che sta sempre lì pronto ad evitare che il proprio figlio si faccia del male.

La Bibbia ci rivela, però, un’immagine del tutto diversa di Dio. Egli è “rispettoso” della libertà delle proprie creature e tratta tutti da “persone adulte”, che hanno, cioè, il dovere di rispondere personalmente dei propri atti.

Il male, allora, non viene da Dio, ma è responsabilità di chi lo compie.

A questo punto potrebbe esserci quest’obiezione: va bene questo ragionamento per quanto riguarda il male compiuto dagli altri. Accetto l’idea che l’uomo, essendo responsabile delle proprie azioni, è anche all’origine del male che compie con i propri atti. Ma il male naturale? Per esempio, le tragedie che capitano durante gli eventi naturali? Alluvioni, terremoti, tsunami, ecc. In questo caso l’uomo non c’entra, non può comandare gli eventi naturali, solo Dio può farlo.

Vero, ma solo in parte. Le catastrofi naturali sono sempre avvenute e sempre avvengono e spesso sono imprevedibili. Però è altrettanto vero che l’uomo ha la sua responsabilità nel caso in cui non tiene conto di esse. Alcuni esempi tra quelli più famosi:

  1. L’incidente nucleare di Fukushima. L’11 marzo 2011, il nord-est del Giappone è stato colpito da un violentissimo terremoto di magnitudo 8,9 con epicentro sul fondo marino del Pacifico a circa 500 chilometri da Tokyo. Il terremoto è stato causato da un forte sollevamento di una parte del fondale. Si è spostata di conseguenza tutta la massa d’acqua sovrastante, creando uno tsunami, ossia un maremoto, con onde alte circa 10 metri che sono penetrate fino a 10 chilometri nell’entroterra. Nella prefettura di Fukushima, il terremoto e il maremoto hanno danneggiato gravemente quattro dei sei reattori della centrale nucleare. La causa scatenante è stata naturale, ma nell’incidente di Fukushima sono state determinanti le responsabilità umane. Anzitutto la scelta di costruire una centrale nucleare in una zona costiera soggetta a tsunami, per di più senza adeguate protezioni. La società Tepco (Tokyo Electric Power Company), proprietaria dell’impianto, e le autorità giapponesi hanno sottovalutato la forza che può avere uno tsunami, nonostante il fenomeno sia ben noto in Giappone. Quando le onde di maremoto alte più di 10 metri hanno investito la costa, i reattori nucleari della centrale sono stati sommersi. I sistemi di sicurezza si sono rivelati a questo punto insufficienti. Le pompe hanno smesso di funzionare, bloccando il raffreddamento dei reattori, e i dispositivi di riserva non sono entrati in funzione. In seguito al blocco degli impianti di raffreddamento, si è verificata una serie di esplosioni con fughe di radioattività. Successive indagini hanno appurato gravi mancanze nel controllo e nella manutenzione di tali sistemi. Secondo quanto ammesso dagli stessi responsabili della Tepco, le valvole della temperatura di un reattore, ad esempio, non erano state esaminate per 11 anni, mentre altre verifiche, presentate come accurate, erano approssimative: 33 pezzi dei reattori non erano stati revisionati. La situazione è stata ulteriormente peggiorata dal fatto che la Tepco, per ridurre i costi di gestione della centrale nucleare, non ha trasportato altrove le barre di combustibile già usate, ma le ha accumulate all’interno della centrale stessa. Dato che le barre di uranio o Mox, quando vengono estratte dai reattori per essere sostituite con altre nuove, sono ancora radioattive ed emettono calore, esse devono essere conservate in vasche dove circola costantemente acqua refrigerata. Senza raffreddamento o, peggio, senza acqua, la fissione nucleare può riprendere. Inoltre, secondo il giornale statunitense Wall Street Journal, la Tepco avrebbe consapevolmente rallentato gli interventi per raffreddare con acqua di mare i reattori dov’era in corso la fusione del nocciolo. L’uso di acqua marina può abbassare la temperatura dei reattori, riducendo i rischi di ulteriori esplosioni e fughe radioattive. Allo stesso tempo, però, danneggia i reattori rendendoli inservibili: cosa che la Tepco ha cercato fino all’ultimo di evitare per non subire un’ulteriore perdita economica.
  2. La valanga di Rigopiano. La valanga di Rigopiano è stato un evento disastroso verificatosi il 18 gennaio 2017 a Rigopiano, località nel comune di Farindola, Abruzzo. La catastrofe è stata provocata da una slavina che, distaccatasi da una cresta montuosa sovrastante, ha investito l’albergo Rigopiano-Gran Sasso Resort, causando 29 vittime. Nel pomeriggio una valanga di neve e detriti di grandi proporzioni si distacca dalle pendici sovrastanti il massiccio orientale del Gran Sasso tra il Vado di Siella (1.725 m) e il Monte Siella (2.027 m), incanalandosi nella Grava di Valle Bruciata (che significa appunto “frana”, “brecciaio”), un canalone coperto da un faggeto, sino a raggiungere l’albergo Rigopiano, che pare essere sorto su un pianoro di detriti venuti giù a valle con altre valanghe. La valanga travolge la struttura alberghiera, sfondandone le pareti e spostandola di circa dieci metri verso valle rispetto alla posizione originaria. Nel 1999 uno studio evidenziava che l’albergo sorgeva effettivamente in una zona a rischio, senza tuttavia che ciò abbia influito sui lavori di ristrutturazione e forse l’edificio stesso era stato costruito sui detriti di una precedente valanga del 1936. L’osservazione di alcune fotografie scattate negli anni 1945, 1954, 1975 e 1985 sembra indicare, secondo alcuni osservatori, un rimboschimento di un’area precedentemente denudata del versante sinistro del canalone, confermando, secondo un geologo, l’ipotesi di una valanga avvenuta nel 1936 che avrebbe distrutto la copertura boschiva.

Altre volte, poi, gli eventi e la vita non sempre sembrano avere delle logiche attraverso le quali si comprendono quali sono le vere responsabilità o se c’è un modo di evitare certe conseguenze. Le cose, semplicemente, accadono e nessuno può farci nulla.

Quest’ultima cosa è quella più difficile da accettare, perché nei primi due casi uno può individuare chiaramente i responsabili e anche dire: se le persone si fossero comportate diversamente certe tragedie non sarebbero avvenute. Nell’ultimo caso, invece, quando le cose avvengono senza una responsabilità di nessuno, il male resta un qualcosa di ingiustificato.

Dovrebbe aver pensato lo stesso l’autore di un brano della Bibbia che prova a giustificare perché esiste questo tipo di male. Parliamo del racconto del “cosiddetto” peccato originale.

Genesi 3,1-19

Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».

Il brano del peccato originale si dice, tecnicamente, che è un brano eziologico, serve, cioè, per ricercare in un passato non ben definito le cause delle condizioni in cui si trova l’autore che lo sta scrivendo. Questo brano vuole rispondere ad alcune questioni che l’autore vede come negative: Perché ci si vergogna di andare in giro nudi? Perché il serpente è l’unico animale che striscia per terra? Perché abbiamo generalmente paura dei serpenti e perché sono velenosi? Perché una cosa tanto bella come il parto è accompagnata da dolori indicibili? Perché l’uomo è considerato superiore alla donna? Perché bisogna faticare per mangiare e spesso il raccolto non è buono? Perché bisogna morire?

Di fronte a tutto questo male, l’autore dice: visto che Dio è buono e che ha creato tutto perfettamente deve essere successo qualcosa che ha rovinato tutto e ha causato tutte queste cose negative che influenzano la vita dell’umanità. E allora, tramite il racconto del peccato originale, ha voluto trasmettere l’idea del fatto che, all’inizio della storia umana, c’è stato un atto di ribellione nei confronti di Dio e, come conseguenza di esso, adesso viviamo in un mondo non più buono e perfetto. E, in questa imperfezione, succedono anche cose brutte e negative che non hanno apparentemente né senso né giustificazione, oltre al male che è causato direttamente o indirettamente dall’uomo.

Questo racconto lo possiamo dividere in tre parti: la prima è l’episodio vero e proprio del peccato; la seconda è il dialogo tra Dio e l’uomo; la terza le conseguenze del peccato.

Nella prima parte si dice perché l’uomo e la donna compiono questa disobbedienza: vogliono diventare come Dio. Infatti, conoscere il bene e il male è un attributo di Dio, è Lui solo che pienamente sa cosa è bene e cosa è male e li fa conoscere all’uomo. Con questo atto, l’uomo sta dicendo di voler stabilire da solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Non appena mangiano di quel frutto, poi, succede che si vergognano l’uno dell’altro per la loro nudità. Essere nudi significa che io mi presento davanti all’altro per come sono e mi fido che l’altro mi accolga per quello che sono. I vestiti servono a nascondere e a mascherare chi siamo veramente. Vergognarmi della mia nudità significa che io non mi fido dell’altro che ho di fronte. La prima conseguenza del peccato originale è proprio questa: il non potermi più fidare di chi ho accanto. Come io posso scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, anche l’altro può fare lo stesso e quindi io potrei essere sbagliato per lui, oppure ad un certo punto potrebbe cambiare idea su di me. Quindi non posso mai fidarmi totalmente.

Nella seconda parte del racconto entra in scena Dio che cerca l’uomo e dalle sue risposte capisce che ha mangiato del frutto proibito. Nel momento in cui Dio chiede all’uomo cosa è successo avviene, di fatto, il primo “scarica barile” della storia: l’uomo dà la colpa alla donna e la donna al serpente, il quale, non potendo dare la colpa a nessun altro si prende il rimprovero maggiore! A ben vedere, però, le risposte che danno l’uomo e la donna fanno intendere che, alla fine dei conti, la colpa di tutto è di Dio. Infatti l’uomo dice che la colpa è della donna, che Dio le ha dato. La donna, incolpando il serpente, rimanda di nuovo la colpa a Dio, perché esso è una creatura di Dio. Seconda conseguenza negativa del peccato originale: nessuno vuole essere responsabile delle proprie azioni, ma cerca sempre di scaricare la colpa sugli altri (in fondo non è la logica che sta anche dietro alla domanda che ha aperto questo incontro: se Dio è buono perché esiste il male? Come a dire che la colpa del male è sempre di qualcun altro, in fin dei conti di Dio).

La terza parte, infine, sono le cosiddette maledizioni e conseguenze negative che, come detto prima, hanno mosso l’autore sacro a cercare nel peccato originale la risposta. In queste troviamo la risposta all’ultima questione che ancora abbiamo lasciato in sospeso: cioè quel tipo di male che non ha per causa l’azione e la responsabilità dell’uomo, ma che dipende in tutto e per tutto da situazioni “naturali” o, comunque, indipendenti dall’uomo (pensiamo alle malattie, per esempio).

Di fatto, il peccato originale ha, come conseguenza, quella di amplificare la nostra percezione del male fisico, facendo passare per negativo un qualcosa che di per sé è del tutto naturale. Pensiamo alla morte, intesa come fine biologico e naturale della vita. Essa appartiene alla naturalità dell’esistenza (in natura si moriva anche prima dell’apparizione dell’uomo sulla terra, quindi la morte fisica non è conseguenza del peccato originale). In un mondo perfetto la morte è quel termine naturale che apre, per l’uomo, alla vita eterna. La cosa resta vera anche dopo il peccato originale, con la conseguenza però, che questo fine naturale diventa per l’uomo una cosa tragica. E su questo non possiamo farci nulla. Non c’è modo per togliere la tragicità della morte di una persona.

Quello che si può fare, però, è porre, accanto alla tragicità della morte, questa nostra fede che ci ricorda che quella morte è per una condizione diversa, migliore e definitiva. Ciò non annulla il dolore del distacco umano (nulla può farlo), ma ci assicura che quel dolore non appartiene alla nostra natura, ma è causa di una visione incrinata della vita, in cui, alla fine, tutto quello che facciamo su questa terra deve sempre di più proiettarci verso la vita vera ed eterna.

Ci sarà sempre chi soffre per le azioni umane degli altri, ci sarà sempre chi soffre per motivi indipendenti da tutto. Ma tutto apre sempre e comunque alla vita definitiva. La Bibbia ha un’altra immagine potente per ricordarci questo: il dolore del parto. Le sofferenze di una donna che partorisce, oltre che non essere fine a se stesse ma per la vita che nasce, permettono proprio a questa vita di nascere.