INTRODUZIONE
L’istituto del divorzio non è un’invenzione moderna del mondo occidentale, ma era già conosciuto nella storia antica dell’umanità, anche se con nomi diversi. Nell’Israele antico, infatti, esso è conosciuto con il termine di “ripudio”.
È regolamentato nel libro del Deuteronomio e riservato, “ovviamente”, solo agli uomini: «1Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa. 2Se essa, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie di un altro marito 3e questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio, glielo consegna in mano e la manda via dalla casa o se quest’altro marito, che l’aveva presa per moglie, muore, 4il primo marito, che l’aveva rinviata, non potrà riprenderla per moglie, dopo che essa è stata contaminata, perché sarebbe abominio agli occhi del Signore; tu non renderai colpevole di peccato il paese che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità» (Dt 24,1-4).
Non si può non notare il punto di vista maschilista della normativa – normale per il tempo –, così come i termini (prendere/trovare qualcosa di vergognoso/essa non trovi grazia ai suoi occhi) che vedono nella donna un “bene” più che una persona.
Al di là della questione maschilista, la normativa sul ripudio lascia indeterminate le cause che possono dare adito al marito di ripudiare la moglie. Si dice che quest’ultimo può mandare via la moglie nel caso in cui “essa non trovi più grazia agli occhi del marito, perché ha trovato in lei qualcosa di vergognoso” oppure “se esso la prende in odio”.
Nell’arco della storia di Israele, diversi rabbini e scuole rabbiniche hanno cercato di stabilire quali potevano essere i motivi che giustificavano o meno il ripudio. Ai due estremi si possono porre le scuole dei rabbini Hillel e Shammai (primo secolo avanti Cristo). Secondo Shammai, il ripudio della donna da parte del marito è concesso solo per cause particolarmente gravi; mentre per Hillel, ogni motivo poteva dare adito al ripudio (anche cucinare male o bruciare un pasto).
Al tempo di Gesù, la disputa sui motivi del ripudio era, quindi, ancora viva, perciò, i farisei colgono l’occasione per interrogare Gesù e “costringerlo” a schierarsi da una o dall’altra parte. Al tempo stesso, però, il Signore sfrutta l’occasione per dare una parola chiara e decisa sulla legge del ripudio, additandola come contraria alla volontà di Dio.
Dal Vangelo secondo Marco (10,1-12)
1Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l’ammaestrava, come era solito fare. 2E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. 8Sicché non sono più due, ma una sola carne. 9L’uomo, dunque, non separi ciò che Dio ha congiunto». 10Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: 11«Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; 12se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».
Alla domanda sulla liceità della legge del ripudio, Gesù risponde con un’altra domanda, per esplicitare il nucleo della legge: Mosè ha permesso ai mariti di scrivere l’atto di ripudio e di mandare via le mogli.
PRIMA SOTTOLINEATURA: la legge del ripudio stabilisce una possibilità e un diritto [dell’uomo], ma non un obbligo o un dovere. Se l’uomo lo ritenesse necessario potrebbe ripudiare la moglie, ma non per questo è obbligato a farlo. Questo vale, in genere, per ogni legge che stabilisce un diritto. A chi viene riconosciuto quel particolare diritto ha la facoltà di usufruirne, ma potrebbe anche non farlo. Ogni legge che sancisce un diritto, ma non un obbligo, resta sempre sottomessa al giudizio ultimo della coscienza del singolo: quest’ultimo potrebbe usufruirne, ma potrebbe anche rifiutare di usare di quel diritto, se ciò comportasse il raggiungimento di un bene superiore (cfr. la vicenda di Maria e Giuseppe, quando quest’ultimo viene a sapere della gravidanza miracolosa di Maria).
Dopo aver stabilito, d’accordo con i farisei, che la legge del ripudio è di origine umana e non divina, Gesù approfondisce il discorso, chiarificando perché Mosè ha stabilito la legge del ripudio: per la durezza dei cuori degli israeliti. Il cuore indurito è una condizione spirituale, nella quale l’uomo è insensibile alla volontà di Dio. La volontà di Dio, sul matrimonio, è quella espressa in Gen 1 – 2, cioè che i due diventino una carne sola e siano sempre l’uno per l’altra e viceversa.
SECONDA SOTTOLINEATURA: La condizione di chiusura a questa volontà, l’indurimento del cuore, comporta l’incapacità di restare fedeli a questa volontà ed è solo per questo motivo che Mosè ha concesso il ripudio. La legge sul ripudio, in fin dei conti, non è un diritto riconosciuto all’uomo, ma una legge che accusa l’uomo e sottolinea il suo fallimento: colui che usa di questo diritto sta sancendo, davanti a Dio, a sé stesso e alla comunità, che ha il cuore indurito, cioè, non è in grado di restare fedele alla volontà di Dio, che si è allontanato definitivamente da Lui.
La radicalità di questo insegnamento di Gesù (forse l’unico insegnamento contenuto nei Vangeli dato in forma così esplicita e netta) lo si può comprendere solo se viene inserito nel contesto del momento in cui viene detto. Gesù sta andando verso Gerusalemme, cioè verso il sacrificio della croce. È quello l’orizzonte da cui interpretare questo insegnamento. La croce simboleggia l’amore vero ed estremo, quello oltre il quale non si può più andare: la vita data in sacrificio per la salvezza degli altri. In quest’ottica, allora, il ripudio perde ogni senso, perché, se si ama veramente e fino in fondo, non c’è eventualità neanche di pensare alla possibilità di ripudiare. E se si arriva a ripudiare o ad essere ripudiati, forse non c’è mai stato amore sincero e disinteressato come quello della croce.