INTRODUZIONE
La cultura retrostante i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento ha influenzato notevolmente gli autori sacri nelle loro descrizioni di famiglie più o meno famose della Bibbia. L’ideale familiare – che era praticamente lo stesso della nostra cultura fino a qualche decennio fa – prevedeva uno sposo e una sposa e una prole più o meno numerosa. Di più, i figli erano visti come veri e propri segni della benedizione di Dio.
Oggi non possiamo non fare i conti con modelli familiari fondamentalmente diversi tra loro e diversi da quello “tradizionale” e ormai in fase di accettazione da parte della società (famiglie monogenitoriali, coppie senza figli per scelta, coppie di persone dello stesso sesso, conviventi e uniti civilmente e con o senza figli, ecc.). La Bibbia può dare delle indicazioni anche in questo caso, oltre che per la situazione “classica”? Anche se non è opinione condivisa, qui si pensa che la risposta a questa domanda possa essere positiva.
Il modello “tradizionale” di famiglia, si è detto, ha influenzato la stesura dei brani che più direttamente si possono associare a modelli familiari ideali, tratteggiando le caratteristiche e i comportamenti “più corretti” secondo il volere di Dio attraverso la descrizione di situazioni familiari in cui sono presenti un maschio e una femmina umani. Ciò non toglie, però, che quegli stessi atteggiamenti o quelle stesse caratteristiche possono essere applicati, eventualmente con i dovuti distinguo, anche ad altri tipi di relazioni umane e familiari (genitori-figli; rapporti di fratellanza; rapporti di convivenza non necessariamente familiare; ecc.). Per questo motivo, pur parlando per semplicità di famiglia intesa nel senso tradizionale, ciò che è l’ideale scritturistico non debba valere anche per altri tipi di situazioni o relazioni. Infatti, il nostro compito non è quello di sancire quale sia il modello più giusto e corretto per essere famiglia, ma quello di comprendere su cosa fondare quel cammino comune che le persone intendono come famiglia.
Fatte tutte queste premesse metodologiche e di chiarimento, per semplicità di discorso parleremo sempre di uomo e donna intesi come sposo e sposa, ma, appunto, quello che è richiesto a loro per vivere insieme in maniera ideale si può estendere a qualunque legame, non necessariamente di coppia, ma anche di coppia.
MODELLO SCRITTURISTICO DELLA FAMIGLIA UMANA
Diversi sono i brani della Scrittura in cui si parla di famiglia, sia a livello ideologico che concreto, oppure come metafora di altri messaggi (per esempio i profeti che usano la metafora sponsale per descrivere il rapporto tra Dio e Israele). Il modello ideale di famiglia lo troviamo in Gen 1,26-31 e Gen 2 7-9.16-25, perché è Gesù stesso che addita questi brani come modelli da riconoscere (lo fa quando, interrogato sulla liceità della legge ebraica sul divorzio, Egli dice che all’inizio le cose erano diverse e perfette).
1:26 Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
1:27 E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.
1:28 Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra».
1:29 Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo.
1:30 A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne.
1:31 Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.
2:7 Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.
2:8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.
2:9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
2:16 Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino,
2:17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».
2:18 E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».
2:19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
2:20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse.
2:21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto.
2:22 Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
2:23 Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta».
2:24 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.
2:25 Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
La prima cosa da dire è che, in origine, i due racconti della creazione non sono stati pensati dall’autore per parlarci della famiglia umana (intesa come coppia di uomo e donna), ma, più in generale, del ruolo dell’umanità all’interno del progetto creativo di Dio.
Leggendo con attenzione, infatti, in tutti e due i brani la creazione dell’umanità ha lo scopo di completare quanto è stato fatto finora fatto da Dio. Sia in Gen 1 che in Gen 2 l’umanità ha lo scopo di dominare su quanto Dio ha prodotto (dominio in senso biblico). In Gen 1 si dice solo in generale, mentre in Gen 2 la custodia e il dominio si esercitano con l’opera della coltivazione. In Gen 1, l’umanità sembra avere il compito di suggellare quanto Dio ha fatto (visione statica della creazione), mentre in Gen 2 sembra emergere l’idea che l’umanità debba portare a compimento una creazione solo abbozzata da Dio (visione dinamica/evoluzionista).
Leggendo di seguito i due brani, la prima cosa che emerge in Gen 1,26-29 è che Dio vuole creare l’umanità che sia a sua immagine e somiglianza. Infatti, anche se nella traduzione italiana diciamo che Dio esprime l’intenzione di creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, la terminologia ebraica originale andrebbe meglio tradotta con “umanità”. Per cui non è l’uomo (o la donna) l’immagine di Dio, ma l’umanità intera, nella sua alternanza sessuale di maschio e femmina e nella sua complementarietà relazionale. Per giunta, quando la Bibbia dice che l’umanità è fatta a immagine e somiglianza di Dio sta dicendo due cose diverse, ma collegate:
- Essere somiglianti a Dio significa riproporne una sua caratterista, che è quella della relazionalità. Dio è Dio perché è comunione e relazione trinitaria. Lo stesso deve dirsi dell’umanità. Essa è umanità solo se intesse relazioni significative tra i suoi membri;
- Essere immagine di Dio, invece, significa rendere presente Dio. Nella cultura biblico-semitica, infatti, essere immagine di qualcuno o di qualcosa significa che ciò che è rappresentato con l’immagine si rende in qualche modo presente attraverso la sua immagine (per esempio nel libro di Daniele si dice che bisognava adorare la statua dell’imperatore Nabucodonosor, non perché bisognava adorare una statua, ma perché quella statua rendeva presente l’imperatore stesso). Da qui si capisce, allora, il compito di dominio sulla creazione. L’umanità deve dominare come Dio domina e come Lui vuole sia dominata la creazione: cioè nel sapersi prendere cura di un qualcosa che è affidato da Colui che quel qualcosa l’ha creata e farlo a nome per conto del Creatore.
In sintesi, l’umanità è fatta a somiglianza di Dio perché ne deve essere l’immagine nella creazione e, al tempo stesso, per essere immagine deve essere somigliante a colui che ripresenta.
A partire da Gen 2,7, invece, il racconto diventa più dinamico e quell’ideale di somiglia e immagine emerge contestualmente con il proseguimento del racconto. All’inizio c’è solo l’uomo, inteso come maschio. Egli è plasmato dalla terra, ma è essere vivente perché riceve l’alito di vita da Dio. In qualche modo, quindi, l’autore sacro sta descrivendo una condizione particolare dell’essere umano che ha legami originari sia con tutto ciò che è materiale, da cui proviene, ma anche con Dio, che è quello che in ultima analisi lo rende vivo.
Questa vitalità, però, non è ancora perfetta. Dio stesso si accorge che a questa creatura, anche se ha in sé la presenza divina che lo mantiene in vita, manca qualcosa: non è in relazione con niente e nessuno. Il primo tentativo che Dio fa, allora, è quello di cercare una soluzione a questa condizione dell’uomo attraverso gli animali che aveva già creato. Dice, però, la Scrittura, che nonostante l’uomo avesse dato un nome a tutti gli animali e, quindi, fosse entrato in relazione con loro, non aveva trovato nessuno che gli corrispondesse. Di fatto, quegli animali erano troppo diversi dall’uomo, mancavano di un elemento fondamentale: non potevano parlare e quindi l’uomo non aveva modo di entrare in relazione con essi.
Ecco che, allora, il secondo tentativo di Dio va a buon fine, perché la donna creata dal fianco dell’uomo è capace di entrare in relazione alla pari. L’uomo può parlare e sa di essere ascoltato. La donna ha la capacità di stare di fronte all’uomo e l’uomo di fronte alla donna e quindi è possibile intessere una relazione e un dialogo. Al tempo stesso, tratta dal fianco (e non dalla costola come traduciamo in italiano) sa stare accanto allo stesso passo dell’uomo e l’uomo allo stesso passo della donna.
Ecco, allora, che la relazionalità e solo essa è l’elemento distintivo dell’essere umano e che essa, intessuta nelle tre dimensioni fondamentali, completa non solo l’uomo, ma l’intera umanità e ogni famiglia umana:
- La prima dimensione è quella con la materia di cui è fatto il mondo, che si esprime nel prendersi cura della “casa comune” (come la chiama papa Francesco), non solo perché possiamo vivere bene noi, ma perché la cura è espressione dell’essere fatti a immagine di Dio e perché, essendo comune, è atto di attenzione per gli altri (presenti e futuri);
- La seconda dimensione della relazionalità è con Dio, da cui, in ultima analisi, prende vita e prende senso ogni essere umano, l’intera umanità e ogni famiglia umana. Senza l’alito di vita che viene da Dio, la dimensione materiale resta fangosa e inerme, manca di quel qualcosa in più che distingue l’uomo dal resto del creato e che non gli permette di svolgere in pienezza il compito di custodia che Dio ha pensato per lui;
- La terza relazione è quella alla pari con l’altro, che sta di fronte come essere relazionale e di fianco come compagno di viaggio.
Per concludere: queste tre dimensioni della relazionalità, ma la terza in particolare, si vede che possono essere applicate, come modello di vita, a qualunque tipo di relazionalità e non solo a quella familiare tradizionale. Quindi, ogni situazione che uno sente come familiare può e deve essere costruita a partire da queste dimensioni ideali della relazionalità.
P.S.: l’ideale poi si dovrà scontrare con la concretezza e i limiti dei singoli individui … ma questa sarà la prossima puntata!