Tutti quanti, almeno una volta nella vita, ci saremo fatti una o più domande esistenziali – del tipo: chi siamo; da dove veniamo; dove andiamo; ecc. –. Tra queste, forse, ce n’è una che le racchiude tutte: “perché esistiamo”? Perché io, tu, noi siamo proprio così e non diversamente? Perché sono nato e vivo proprio in questo periodo e non in un altro? Perché le cose esistono invece di non esserci?
La domanda “perché esistiamo” è quella fondamentale e trovare la giusta risposta può rivelarsi la chiave di volta su cui costruire tutta la nostra vita e dare senso al nostro esserci.
Ma dove trovare quegli indizi utili per scovare la risposta giusta a questa domanda? Nella storia dell’umanità ci sono stati i più svariati tentativi di trovare il giusto senso della risposta. Ma tutti si possono raggruppare in due categorie: le risposte che provengono dalla fede; e quelle che provengono dalla scienza.
Nella prima categoria possiamo metterci tutte le fedi e le religioni del mondo, compresa quella cristiana. Nella seconda, tutti i tentativi della scienza di superare sempre di più i propri limiti di conoscenza.
Se, prima del Seicento circa, scienza e fede tendevano a sovrapporsi, dall’Illuminismo tedesco in poi le due strade si sono divise, fino, addirittura, a tentare di screditarsi a vicenda. C’è stato bisogno, almeno in ambito cattolico, di Giovanni Paolo II, che ha finalmente ricucito questo strappo tra scienza e fede quando, all’inizio dell’enciclica Fides et Ratio del 1998, afferma: «la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità». Fede e ragione non sono concorrenziali, ma servono entrambe all’uomo per avere una conoscenza più vera e più profonda di se stesso e del mondo che lo circonda.
Ma come è possibile ciò? Come può la scienza – che per natura sua si basa su dati tangibili, verificabili e sperimentabili – a dialogare con la fede – che, invece, tratta di cose che non si vedono –? La risposta ci viene da un altro grande della storia: Galileo Galilei. Nella sua lettera del 1615, inviata a Maria Cristina di Lorena, madre del Granduca Cosimo dei Medici, egli scrive forse una delle sue frasi più famose: «l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo». Quest’ultima cosa è compito della scienza. In altre parole, mentre la fede ci spiega come andare in paradiso, la scienza ci spiega come funziona la natura, oppure, se vogliamo provare a dirlo in altro modo: la scienza ci dice come funziona il mondo; la fede perché.
Ecco allora perché Giovanni Paolo II può arrivare ad affermare che scienza e fede sono le due ali con le quali l’uomo arriva a conoscere la verità. All’essere umano serve sapere sia come funziona una cosa, ma anche perché le cose vanno in un determinato modo e non in un altro. Il come – a cui risponde la scienza – serve all’uomo per poter abitare questo mondo; il perché – a cui risponde la fede – serve altrettanto, affinché la vita di ognuno abbia un senso più profondo e non sia solo una scansione di giorni che si susseguono inesorabilmente l’uno dopo l’altro[1].
Arriviamo, così, ad un altro punto delicato, oppure, se vogliamo, torniamo al punto di partenza: la questione del senso della vita. Riecco di nuovo la domanda che ha aperto questa nostra riflessione: perché esistiamo? Abbiamo ormai capito che non c’è altro modo, per rispondere a questa domanda, se non parlare di Dio e ricercare nella fede in Lui questa risposta.
Volendo anticipare quello che sarà il finale di tutto questo percorso di riflessione e per non lasciare totalmente senza risposta questa domanda che ci portiamo dall’inizio del percorso, diciamo subito che il senso della vita è “essere conformi a Gesù Cristo”. Dice infatti san Paolo: «quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29).
A questo punto, per capire meglio quest’ultima parte di quanto è stato detto, dovremmo, nei prossimi incontri, approfondire le seguenti tematiche: cos’è la fede; chi è Gesù Cristo; che significa essere conformi a Lui; che significa essere predestinati secondo la fede cristiana.
Tutti questi discorsi – quello fatto finora e quelli che dovremmo fare in seguito – si basano però su un presupposto, finora non detto: Dio esiste e ci è stato fatto conoscere da Gesù. In effetti, se ci pensiamo bene, solo se Dio esiste possiamo parlare di fede, possiamo parlare di predestinazione, ecc.
Ora, la questione dell’esistenza di Dio è una delle cose più dibattute da quando l’uomo ha imparato a parlare (e forse anche da prima). Tutti, prima o poi, dobbiamo porci di fronte a questo bivio e scegliere se credere o meno in Dio[2] e, se abbiamo scelto di credere, a quale rivelazione di Dio credere: esistono tante figure di Dio quante sono le religioni e, addirittura, quanti sono gli esseri umani sulla Terra!
Come detto, credere nell’esistenza di Dio è un atto di fede: non esiste un metodo scientifico che possa dimostrarne o meno l’esistenza senza alcun dubbio. E questo per quello che abbiamo detto prima: la scienza si occupa del come del mondo fisico, mentre Dio sta dalla parte del perché e del senso dell’esistenza.
Nonostante questo, la ragione umana, con la filosofia, ha trovato dei modi e dei ragionamenti che possono aiutare a dire che l’esistenza di Dio, se pur indimostrabile, non è contraria alla ragione, cioè non è irrazionale[3].
Ne esistono tante di queste dimostrazioni. Le più famose sono quelle di san Tommaso d’Aquino. Egli ha strutturato cinque ragionamenti – che lui chiama vie – e che possono aiutare ad affermare che può esistere un essere che noi chiamiamo Dio.
Di queste cinque vie ne proviamo a seguire solo una, la prima. Scrive san Tommaso: «È certo infatti e consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso da un altro. […] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all’infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, parte I, questione 2, articolo 3).
Il ragionamento di san Tommaso è abbastanza chiaro: egli nota che tutte le cose sono mosse da altre e nulla si può muovere se non c’è un intervento esterno che imprima questo moto. Se non ammettiamo un qualcosa o un qualcuno che sta all’inizio di questa catena di movimento saremo costretti a procedere indietro all’infinito. L’oggetto 1 è mosso dall’oggetto 2, il quale, a sua volta, per poter muovere deve essere mosso dal 3, che è mosso dal 4, che è mosso dal 5, ecc. Questa catena infinita di oggetti che muovono altri oggetti non è razionalmente sostenibile, per cui è necessario dover ammettere che ne esiste uno, che sta all’inizio di tutto che ha queste caratteristiche: ha la capacità di muovere, ma senza che sia mosso da nessun altro (in caso contrario non può essere lui il primo e ne serve ancora un altro prima di lui).
Questo ragionamento di Tommaso d’Aquino porta, alla fine, a dire che non è irrazionale pensare che esista un Dio, cioè quest’essere che è sopra di tutti e che ha delle capacità che il resto degli esseri esistenti non hanno.
Al tempo stesso, però, questo e gli altri ragionamenti come questo non ci permettono di dire molto di più di Dio. Non abbiamo argomenti logici e razionali per arrivare a sapere come è fatto Dio, oppure conoscere quello che vuole o quello che pensa.
C’è una sola possibilità per sapere qualcosa di più di Lui: deve essere Lui stesso a dircelo!
A questo punto siamo arrivati ad un altro momento importante del nostro percorso: il concetto di Rivelazione. In maniera molto sintetica, possiamo dire che la Rivelazione è tutto ciò che Dio ci ha fatto conoscere di se stesso. Questa rivelazione è avvenuta per tappe durante tutta la storia ed è contenuta, sostanzialmente, nella Bibbia.
La storia narrata dalla Bibbia nell’Antico Testamento ci dice come Dio ha iniziato a farsi conoscere dal popolo di Israele e come ha condotto la fede di questo popolo ad aspettare il Messia e il rivelatore di Dio per eccellenza; questo è Gesù, la cui vicenda storica e il suo insegnamento sono condensati nei Vangeli. A sua volta Gesù consegna tutto il suo sapere agli Apostoli, i quali hanno il compito di custodirlo e di trasmetterlo al mondo (e in questo momento entra in gioco la Chiesa, come quell’istituzione che garantisce che quello che essa crede è conforme all’insegnamento di Gesù).
[1] Vasco Rossi, con la sua famosa canzone “un senso”, si schiera, purtroppo, proprio dalla parte di chi non riesce ancora a dare un senso alla propria vita e accetta, quasi con rassegnazione, questo susseguirsi di giorni. Egli dice: «Voglio trovare un senso a questa vita / Anche se questa vita un senso non ce l’ha […] Sai che cosa penso / Che se non ha un senso / Domani arriverà… / Domani arriverà lo stesso».
[2] In realtà esiste anche un terzo atteggiamento – oltre quello dell’ateo e del credente –, che è quello dell’agnosticismo. Una persona agnostica è una persona che ha sospeso il giudizio: non sapendo se Dio esiste o meno, non decide né di credere, né di non credere. Questo atteggiamento, però, non può durare in eterno: la vita ci mette continuamente di fronte a situazioni che ci costringono a scegliere da che parte stare, quindi l’atteggiamento agnostico non può durare per sempre.
[3] Questa cosa è importante perché, per come siamo fatti, il nostro cervello non può accettare per vero qualcosa che è contrario alla ragione. È impossibile credere in una cosa irrazionale. P. es.: se una persona ha nel proprio zaino un libro e mi dice che quel libro ha la copertina rossa, io posso crederci pur non vedendo il libro, perché so che possono esistere libri con copertine colorate di rosso. Nel momento in cui, però, apro lo zaino e vedo che quel libro ha la copertina verde io non posso più credere che sia rossa, perché ho un’evidenza che mi dice che quella copertina è verde. Quella persona può continuare a dirmi che in realtà è rossa, ma io so che quell’affermazione è irrazionale e non ci posso credere pur volendo, perché il mio cervello non accetta per vera quell’affermazione.