Cosa comporta essere cristiano?

Nel primo incontro abbiamo detto che la fede ha la caratteristica fondamentale di rispondere ai “perché”, cioè a quelle domande che indagano il senso della vita e delle cose.

Ora, però, esistono tante fedi nel mondo e tante ne sono esistite anche nell’arco della storia. Ognuna, in fin dei conti, cerca, a modo proprio, di individuare il vero senso della vita e prova a dare delle risposte specialmente ai grandi misteri dell’esistenza, come il dolore e la morte.

La fede cristiana non fa eccezione. Anch’essa propone delle risposte e cerca di assicurare un senso speciale alla vita, dei singoli e a quella dell’umanità in generale.

A questo punto è possibile allora domandarsi: perché crediamo che la fede cristiana è quella vera e quella giusta per noi? Cosa ha di diverso rispetto alle altre che la rende “speciale”? Perché devo essere cristiano per credere veramente?

1. Elemento centrale della fede cristiana è l’incarnazione e la morte e resurrezione di Gesù Cristo

Questo è il vero centro della fede cristiana: incarnazione e Pasqua (cioè morte e resurrezione) di Gesù Cristo.

Questa affermazione racchiude i due pilastri fondamentali della fede:

  1. In nessun’altra religione del mondo si crede in un Dio che abbandona la propria condizione “privilegiata” di divinità per diventare uguale alle sue creature. Solo la fede cristiana ci chiede di credere nel fatto che Dio si è totalmente spogliato della sua divinità per confondersi con noi e “subire” le limitazioni della nostra natura umana.
  2. Come uomo-Dio Gesù ha scelto di essere come noi in tutto, anche vivendo il passaggio drammatico della morte, ma proprio attraverso questo passaggio Egli è poi risorto, non solo come Dio, ma anche come uomo. In questo modo ha fatto sì che, da allora in poi, anche tutti gli esseri umani potranno risorgere.

Questi due pilastri fondamentali non hanno, però, solo conseguenze su quello che dobbiamo credere e sperare, ma anche su quello che, come cristiani, siamo chiamati a fare della nostra vita. Considerando che i cristiani sono tali perché sono i discepoli di Cristo, essi sono chiamati a imitare, per quanto è loro possibile, tutto quello che ha fatto il loro Maestro, cioè Gesù.

Come Cristo si è incarnato e è passato dalla morte alla vita, anche noi dobbiamo fare altrettanto. È ovvio che questo non significa imitare totalmente, ma cercare di mettere in pratica il senso di quello che il Maestro ha fatto.

L’incarnazione del Figlio di Dio, abbiamo detto, significa la scelta della divinità di condividere tutto ciò che comporta l’esistenza umana. In generale, con questa scelta, Dio sta dicendo che per condividere veramente la condizione di qualcuno bisogna mettersi “letteralmente” nei suoi panni, stare nella sua stessa condizione. Spesso tante situazioni negative non si possono risolvere, ma si può dare il proprio contributo per sollevare un po’ da quella sofferenza e difficoltà. E questo sollievo si trasmette anche nel saper condividere quella stessa situazione, mettersi “semplicemente” accanto, far sapere a quella persona che non è sola, che c’è un altro accanto a lei che, con lei, porta la stessa croce e, quando il peso è condiviso, è sicuramente più leggero.

Imitare la Pasqua, a sua volta, significa vivere immettendo speranza. Fare quello che si fa ordinariamente, ma non come se fosse qualcosa che si deve fare e basta, ma con la consapevolezza che quello è il mio contributo ad un mondo migliore. Il mio studiare, il mio lavorare, il mio condividere la vita con gli altri devono essere tutte cose che si fanno cercando di farle bene e di fare il bene.

Per concludere: sia l’imitazione dell’incarnazione che della Pasqua sono atteggiamenti che manifestano l’attenzione per l’altro. In fin dei conti, essere cristiano significa proprio questo: una persona che, consapevolmente, incentra tutta la propria vita nel cercare di fare del bene all’altro. Il vero cristiano non è quello che cerca di salvare la propria vita e la propria anima, ma quello che cerca, con la propria, di salvare la vita e le anime degli altri. Tutto quello che fa è sempre e solo per gli altri. Come Gesù che non ha fatto nulla per sé stesso, così anche i suoi discepoli cercano sempre e solo di fare il bene per gli altri. Con tutte le limitazioni e le difficoltà del caso, ma sempre e solo per il bene degli altri.